Ci sono pianeti simili alla Terra intorno ad altre stelle? Understand article

Traduzione di Davide del Campo. Uffe Gråe Jørgensen dell’ Università di Copenhagen, Danimarca, descrive il metodo di ricerca di pianeti simili alla Terra da qualche altra parte nella nostra galassia.

L’osservatorio ESO a La Silla,
Cile

Immagine concessa
cortesemente da ESO

Ci sono 100 miliardi di stelle nella nostra galassia, la Via Lattea. Molte di esse sono abbastanza simili alla nostra stella, il Sole. Questo significa che ci sono milioni o miliardi di pianeti come la Terra nella nostra galassia? Forse anche pianeti con forme di vita come il nostro? Fino a poco tempo fa, gli astronomi erano capaci al massimo di individuare pianeti che non somigliano affatto a quelli presenti nel nostro Sistema Solare, ma nell’agosto 2005 il nostro gruppo ha scoperto il primo pianeta al di fuori del Sistema Solare che potrebbe essersi formato ed evoluto in una maniera simile alla Terra.

Gli scienziati credono che il nostro Sistema Solare si sia formato da una grande nube interstellare che è collassata 4,6 miliardi di anni fa. La parte più considerevole della nube ha formato il Sole, ma dal momento che la nube stava ruotando, una piccola frazione di essa si trasformò in un disco piatto di gas e polveri attorno al neonato Sole. Nella parte più esterna del disco, lontano dal Sole e al di là dell’attuale orbita di Giove, era abbastanza freddo perché l’acqua formasse cristalli di ghiaccio e fiocchi di neve. Proprio come in una fredda giornata di inverno, nevicava – una nevicata che durò diversi milioni di anni. Dalla collisione di fiocchi di neve e granuli di polvere si formarono lentamente blocchi di materiale solido, un po’ come si formano palle di neve sporca. Quando il primo blocco divenne più grande di 15 volte la massa della Terra, la sua gravità catturò il gas circostante. In tal modo il blocco si trasformò in un gigantesco pianeta con un nucleo solido circondato da un’ immensa quantità di gas compressi – oggi lo chiamiamo un pianeta gassoso, anche se esso ha un nucleo solido formato da ghiaccio e da piccole quantità di rocce e di metalli. Giove, che è il maggiore pianeta gassoso nel nostro Sistema Solare, ha una massa che è circa 300 volte quella terrestre, formata principalmente da gas idrogeno ed elio compressi.

Tuttavia, nella parte più interna del disco, vicino al Sole, non era abbastanza freddo perché l’acqua formasse neve. L’acqua allora si fermò nella nube, proprio come l’ umidità staziona nell’aria in una calda giornata estiva. Solo le rare particelle di polvere di roccia e di metallo poterono formare blocchi solidi, e quindi i pianeti interni, Mercurio, Venere, Terra e Marte, chiamati “piccoli” pianeti rocciosi (con un nucleo metallico), proprio i dintorni rocciosi della Terra a noi familiari. La mancanza di neve nella parte interna della nube non permise ai pianeti di questa regione di divenire enormi pianeti gassosi come Giove. La scarsa quantità di acqua e di atmosfera che abbiamo oggi sulla Terra, si formò successivamente (in un modo molto complicato, che è ancora oggetto di acceso dibattito fra gli scienziati), ed è ben lungi dal poter essere comparata con le enormi masse gassose di Giove e degli altri pianeti gassosi.

Fu quindi una grande sorpresa che il primo pianeta scoperto intorno ad un’altra stella, nel 1995, si rivelasse un gigantesco pianeta gassoso in una piccola orbita. Ad una prima occhiata, la scoperta di questo pianeta, 51 Pegasi b, contrastava di molto con le nostre conoscenze su come si formano i sistemi planetari, almeno per quello che abbiamo imparato dallo studio del nostro Sistema Solare: grossi pianeti gassosi in grandi orbite e piccoli pianeti solidi, simili alla Terra, in piccole orbite. Comunque il metodo utilizzato per rilevare pianeti (si veda avanti) era adatto a trovare “strani” pianeti.

Al giorno d’oggi è opinione diffusa che questi grossi pianeti gassosi si siano formati nello stesso modo di Giove o Saturno, ma successivamente si siano lentamente avvicinati alla stella intorno alla quale orbitano. Se Giove si fosse comportato così nel nostro Sistema Solare, esso, al passaggio, avrebbe molto probabilmente inghiottito la nostra piccola Terra nella sua immensa massa e quindi la Terra non esisterebbe più. Ma le orbite di tutti i pianeti del Sistema Solare sono notevolmente stabili. Non sappiamo se questa stabilità è normale per i sistemi planetari o se è unica del nostro Sistema Solare. Senza questa caratteristica le condizioni nel nostro sistema sarebbero molto probabilmente cambiate così drasticamente e così spesso da non permettere alla nostra fragile vita di sopravvivere. Ad esempio, la stabilità dei pianeti esterni provocò l’allontanamento dalla zona più interna del Sistema Solare di un migliaio di miliardi di comete subito dopo la formazione della Terra. Se oggi queste fossero ancora nelle vicinanze, le frequenti collisioni con esse avrebbero molto probabilmente rimosso la nostra atmosfera e fatto evaporare gli oceani, impedendo alla vita di affermarsi. Forse noi esistiamo nel nostro Sistema Solare proprio per il fatto che esso è l’unico posto dell’ Universo che ha permesso alla vita di apparire e svilupparsi in una scala temporale biologica (cioè miliardi di anni).

Un confronto tra le orbite di
Mercurio, di Venere e della
Terra con l’orbita di 51
Pegasi b, il primo esopianeta
scoperto

Se un pianeta orbita intorno ad una stella diversa dal Sole, lo chiamiamo extrasolare, oppure un esopianeta. Dal 1995 gli scienziati hanno scoperto circa 200 esopianeti. Molti di essi, incluso il primo, sono stati scoperti utilizzando il metodo della velocità radiale, che ricerca cambiamenti nella posizione delle righe spettrali delle stelle ed è molto sensibile alla presenza di pianeti molto grossi in orbite molto piccole. Molte delle altre tecniche attualmente usate per la ricerca di pianeti extrasolari, sono anch’esse adatte ad individuare principalmente pianeti molto diversi da quelli presenti nel nostro Sistema Solare. Di conseguenza continuiamo a trovare soprattutto pianeti “inaspettati”. Troviamo grossi pianeti gassosi in orbite piccole, dove essi non possono essersi formati, oppure piccoli pianeti solidi in orbite ultra-piccole, dove essi non possono essersi formati, oppure ancora pianeti enormemente grossi e luminosi in grandissime orbite intorno a stelle piccolissime, e così via. Ma questo non vuol dire necessariamente che pianeti come la Terra siano rari nell’Universo. Dobbiamo solo ricercarli con altri metodi. La maggiore difficoltà nella individuazione di esopianeti simili alla Terra orbitanti intorno a stelle lontane, sta nel fatto che la Terra è piccola (quindi la sua luce è oscurata dalla luce della stella intorno cui orbita) e nello stesso tempo nel fatto di avere un’orbita relativamente ampia (così che la sua stella deve essere osservata per un tempo molto lungo prima che ogni movimento periodico possa essere individuato).

Per diversi anni il nostro gruppo ha lavorato all’applicazione di un metodo chiamato microlensing, che è particolarmente sensibile a pianeti in orbite simili a quella terrestre e a quelli che hanno una massa piccola come quella della Terra. Quando una stella passa direttamente davanti ad un’altra, il suo campo gravitazionale piegherà la luce proveniente dalla stella sullo sfondo. La stella davanti agirà come una lente d’ingrandimento, grazie ad essa la luce proveniente dalla stella sullo sfondo ci raggiungerà da diverse direzioni nello stesso tempo, facendocela quindi apparire più luminosa. Se la stella sul davanti è sola (cioè se non c’è nessun pianeta intorno ad essa), il suo campo gravitazionale sarà simmetrico e la luminosità della stella sullo sfondo dapprima aumenterà man mano che le stelle si avvicinano l’un l’altra e diminuirà nel momento in cui le due stelle si allontaneranno nuovamente l’una dall’altra. In questo caso la curva di luce sarà simmetrica rispetto al tempo. Se, d’altro canto, la stella davanti è circondata da un pianeta orbitante, il suo campo gravitazionale sarà asimmetrico. La luminosità della stella allora diminuirà in una maniera differente da come è aumentata: la curva di luce sarà asimmetrica. E’ questa asimmetricità che ricerchiamo. Solitamente la stella davanti sarà una stella un po’ più piccola del Sole (semplicemente queste sono la maggioranza nella nostra galassia) e la stella sullo sfondo sarà una fredda, gigante rossa (le più facili da individuare perché luminosissime).

All’osservatorio de Las Campanas in Cile, una equipe polacca, chiamata OGLEw1 controlla circa 100 milioni di stelle, e avverte la comunità scientifica quando una di esse si viene a trovare nelle condizioni adatte per il microlensing. All’Organizzazione Europea per le Ricerche Astronomiche nell’Emisfero Australe (ESO), collaborando tra telescopi in Australia e in Sudafrica, abbiamo formato il gruppo PLANETw2, che controlla 24 ore al giorno le stelle più adatte allo studio fra quelle indicate dall’OGLE.

Spiegazione della tecnica del
microlensing

Immagine concessa
cortesemente da Knight
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Durante le fasi più critiche, osserviamo una data stella ogni cinque minuti. In questo modo abbiamo analizzato molte curve di luce di più di 200 eventi di microlensing durante gli ultimi tre anni. Dalle molte curve di luce che non mostravano alcun segno di presenze planetarie, abbiamo concluso che pianeti come Giove o Saturno (cioè grossi pianeti gassosi) in orbite come quelle di Giove o Saturno (cioè grandi orbite) sono rari nella nostra galassia. In altre parole, il tipo di pianeti che hanno reso stabile il nostro Sistema Solare su una scala temporale biologica, sembra non essere comune nell’Universo – una conclusione centrale per stimare la probabilità di trovare forme di vita come la nostra in qualche altra zona della galassia.

Il 9 agosto 2005, tuttavia, il telescopio danese all’osservatorio ESO a la Silla, Cile, individuò i primi segni di asimmetria in una curva di luce che stavamo analizzando, suggerendoci la presenza di un pianeta orbitante. Abbiamo immediatamente avvertito i nostri collaboratori, sia quelli dell’equipe che altri esterni, e durante le successive sei ore, quattro telescopi in Cile, Nuova Zelanda e Australia confermarono la natura della deviazione. Dopo tre mesi di intensive elaborazioni della curva di luce, ci siamo finalmente convinti di aver visto il segno del più piccolo esopianeta che sia mai stato osservato e nel Gennaio del 2006, ne abbiamo annunciato la scoperta in Nature (Beaulieu et al., 2006).

Il nuovo pianeta si chiama OGLE-2005-BLG-390Lb, o, in breve , OB053. Ha una massa pari a cinque volte quella terrestre (cioè è più simile alla Terra di Marte, la cui massa è un decimo di quella terrestre), si muove intorno a una stella lontana 22 000 anni luce, in un’orbita che ha le dimensioni pari a tre volte quella terrestre. Questo lo classifica come l’unico esopianeta che, in accordo con la teoria è fatto di roccia solida, e orbita intorno alla sua stella ad una distanza alla quale esso potrebbe anche essersi formato. Esso potrebbe essere il primo sistema planetario mai visto nel quale i pianeti sono in un’orbita stabile, e dove le condizioni per la vita sono stabili su una scala temporale biologica, come nel nostro Sistema Solare.
 

Sviluppi recenti sugli esopianeti all’ESO

La scoperta a La Silla di un esopianeta di massa cinque volte quella terrestre è l’ultimo risultato di una serie di progressi fatti con i telescopi ESO. L’osservatorio della Silla Paranal, con la sua adeguata attrezzatura comprendente il grandissimo Telescopio (Pierce-Price, 2006) e vari telescopi più piccoli, è attrezzato molto bene per lo studio degli esopianeti, con immagini ottiche adatte, spettroscopia ad alta risoluzione e monitoraggio a lungo tempo. Ecco una lista dei più recenti risultati ottenuti.

2002: Scoperta di un disco polveroso ed opaco nel quale si stanno formando pianeti o se ne formeranno presto intorno ad una giovane stella simile al Sole. Questo disco è simile a quello nel quale gli astronomi pensano che la Terra gli altri pianeti del sistema Solare si siano formati. Per maggiori dettagli.

2004: Conferma dell’esistenza di una nuova classe di pianeti giganti. Questi pianeti sono estremamente vicini alla loro stella, con un periodo di rivoluzione inferiore a due giorni terrestri, e sono quindi molto caldi e “gonfi”. Per maggiori dettagli.

2004: Scoperta del primo possibile esopianeta roccioso, un oggetto con massa 14 volte quella terrestre. Per maggiori dettagli.

2004: Prima immagine ottenuta di un esopianeta, si va aprendo la strada ad uno studio più diretto degli esopianeti. Per maggiori dettagli, si veda qui e qui.

2004: Gli ingredienti per la formazione di pianeti rocciosi scoperti nella regione più interna di un disco proto-planetario circondante tre giovani stelle. Ciò suggerisce che la formazione di pianeti simili alla Terra non deve essere così inusuale.Per maggiori dettagli.

2005: Scoperta di un pianeta di massa comparabile a quella di Nettuno intorno ad una stella di massa ridotta, il più comune tipo di stella nella nostra galassia. Per maggiori dettagli.

2006: Scoperta del più piccolo esopianeta conosciuto, con solo cinque volte la massa terrestre (questo articolo). Per maggiori dettagli.

2006: Individuazione di tre pianeti simili a Nettuno, ognuno con massa compresa tra dieci e venti volte la massa terrestre, orbitanti intorno ad una stella che possiede una fascia di asteroidi. Di tutti i sistemi conosciuti, questo è il più simile al nostro Sistema Solare. Per maggiori dettagli.

2006: Le osservazioni dimostrano che oggetti con massa uguale a diverse volte quella di Giove, hanno un disco circostante e devono formarsi in un modo simile a quello delle stelle. In questo modo diventa molto difficile definire esattamente cosa sia un pianeta. Per maggiori dettagli.

Henri Boffin, ESO


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Author(s)

Uffe Gråe Jørgensen è Professore Associato all’Istituto Niels Bohr, Università di Copenhagen, Danimarca

Review

Quest’articolo fornisce informazioni aggiornate sugli sviluppi nel campo della ricerca dei pianeti extrasolari. Descrive la scoperta di un nuovo pianeta simile alla Terra orbitante intorno ad una stella distante 22 000 anni luce utilizzando una nuova tecnica chiamata microlensing – l’individuazione di una asimmetria nella curva di luce di una stella lontana per effetto della lente gravitazionale, quando questa passa dietro una stella più vicina – invece dell’usuale ricerca di “oscillazioni” nelle righe spettrali della luce stellare.

Quest’articolo è interessante soprattutto per chi studia o insegna astronomia o relatività (come un’applicazione delle idee di Einstein sulle lenti gravitazionali) per aggiornare le proprie conoscenze o per una lettura di interesse generale. L’articolo non ha in sè contenuti pedagogici. La chiarezza del linguaggio e l’interesse dell’ argomento, tuttavia, fanno sì che esso possa essere usato per domande sulla comprensione per gruppi in età scolare (ossia 15-16 anni). L’articolo può anche essere usato con studenti più avanzati all’inizio di un’attività di ricerca.

Mark Robertson, Regno Unito

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