Tradotto da Lucia Morganti.
Claudia Mignone e Rebecca Barnes ci guidano in un viaggio attraverso lo spettro elettromagnetico, e ci raccontano la flotta di satelliti scientifici dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), che stanno aprendo i nostri occhi su un Universo nascosto e pieno di misteri.
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Quello che impariamo del mondo attorno a noi lo apprendiamo attraverso i nostri sensi. I nostri occhi svolgono il ruolo principale, poiché la luce trasporta molte informazioni sulla sua sorgente e sugli oggetti che la riflettono o la assorbono. Come la maggior parte degli animali, gli esseri umani sono dotati di un apparato visivo che raccoglie i segnali luminosi e li trasmette al cervello. I nostri occhi, tuttavia, sono sensibili soltanto ad una piccolissima porzione dello spettro della luce: siamo praticamente ciechi ad ogni luce diversa da quella che chiamiamo ‘visibile’.
Oppure no? Nel corso del 19esimo secolo gli scienziati hanno scoperto e visualizzato molti tipi di luce fino ad allora invisibili: la radiazione ultravioletta (UV) e infrarossa (IR), i raggi X e gamma, le onde radio e le microonde. Fin da subito è sembrato evidente che la luce visibile e queste forme appena scoperte di luce erano tutte manifestazioni dello stesso fenomeno: la radiazione elettromagnetica (abbreviata in EM, vedi Figura 1).
I vari tipi di radiazione EM si differenziano secondo la loro energia: i raggi gamma sono i più energetici, seguiti dai raggi X, dalla luce UV, visibile ed IR. Ogni tipo di radiazione EM a lunghezze d’onda più grandi di quelle infrarosse è classificato come onda radio. Le onde radio si dividono in submillimetriche, microonde ed onde radio lunghe. La radiazione EM si propaga in forma di onde che viaggiano perfino nel vuoto. L’energia (E) dell’onda è legata alla sua frequenza (f): E=hf, dove h è la costante di Planck, dal cognome del fisico tedesco Max Planck. La relazione fra la frequenza e la lunghezza d’onda (λ) della radiazione EM è data da fλ = c, dove c indica la velocità della luce nel vuoto. Queste due relazioni permettono di descrivere la radiazione EM non solo in termini di energia ma anche di frequenza o di lunghezza d’onda.
Radiazioni a diverse energie (o frequenze, o lunghezze d’onda) vengono prodotte da diversi processi fisici, e possono essere misurate in modi diversi - questo spiega, per esempio, perché la radiazione UV e le onde radio hanno applicazioni differenti nella nostra vita quotidiana.
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Verso la fine del 19esimo secolo, gli scienziati incominciarono a chiedersi come la radiazione proveniente dal cosmo potesse venire catturata per ‘vedere’ oggetti astronomici, come stelle e galassie, a lunghezze d’onda diverse da quelle visibili. Il primo ostacolo che dovettero superare è la barriera costituita dall’atmosfera terrestre.
Ovviamente, l’atmosfera è trasparente alla luce visibile – proprio per questa ragione molti animali hanno sviluppato occhi sensibili a questa parte dello spettro.
Invece, soltanto una minima parte del resto dello spettro EM riesce a penetrare gli strati densi della nostra atmosfera (Figura 2).
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L’Agenzia Spaziale Europea (ESA)w2 rappresenta il trampolino di lancio dell’Europa verso lo spazio, in quanto gestisce programmi per approfondire la nostra conoscenza della Terra, dello spazio vicino, del Sistema Solare e dell’Universo, coopera all’esplorazione umana dello spazio, costruisce tecnologie e servizi basati sui satelliti, e promuove le industrie europee.
La sezione ESA di Scienza ed Esplorazione Robotica si dedica al programma di scienza spaziale dell’ESA ed all’esplorazione robotica del Sistema Solare. Con l’obiettivo di comprendere l’Universo, le stelle, i pianeti e l’origine della vita, i satelliti di scienza spaziale dell’ESA sfidano le profondità del cosmo ed osservano le galassie più lontane, studiano il Sole con dettagli senza precedenti, ed esplorano i pianeti vicini.
L’ESA è un membro dell’EIROforumw5, l’editore di Science in School.
L’opacità non è la sola sfida che l’atmosfera pone agli astronomi: anche la sua turbolenza compromette la qualità delle osservazioni astronomiche, perfino a quelle lunghezze d’onda che raggiungono il suolo, come la luce visibile. Scontrandosi con questi problemi, nella seconda metà del 20esimo secolo, appena dopo la nascita dell’era di esplorazione spaziale, gli astronomi iniziarono a lanciare i loro telescopi oltre l’atmosfera, nello spazio. Questo dette inizio ad una vera e propria rivoluzione nell’astronomia, paragonabile all’invenzione del primo telescopio più di 400 anni prima.
Siccome processi fisici diversi emettono radiazione a lunghezze d’onda diverse, le sorgenti cosmiche brillano in una o più porzioni dello spettro EM. Sfruttando sia i telescopi a terra che i telescopi spaziali, quindi, gli astronomi possono oggi combinare osservazioni in ogni parte dello spettro, e questo è all’origine dell’immagine che abbiamo dell’Universo, immagine estremamente affascinante e a lungo rimasta nascosta (Figura 3 e Figura 4). Le osservazioni nella banda IR, per esempio, rivelano le nubi di polvere e gas altrimenti invisibili, che riempiono lo spazio interstellare e da cui nascono nuove stelle. Analizzando i raggi gamma e X, gli astronomi riescono ad osservare i fenomeni energetici più potenti dell’Universo, dai buchi neri che divorano materia alle esplosioni di supernove.
Complementari ai telescopi spaziali dell’ESA ci sono i telescopi a terra dell’European Southern Observatory (ESO)w4. Per minimizzare la distorsione delle immagini causata dall’atmosfera terrestre, l’ESO fa funzionare i propri telescopi nelle regioni nord del Cile, che sono fra le migliori regioni per le osservazioni astronomiche nell’emisfero sud, a causa della loro alta altitudine e del clima secco.
Come l’ESA, l’ESO conduce osservazioni in diverse parti dello spettro EM. Il Very Large Telescope (VLT) dell’ESO è il telescopio per luce visibile ed infrarossa più avanzato al mondo, costituito da quattro telescopi dal diametro di 8.2 m ciascuno e da quattro telescopi più piccoli, che possono lavorare insieme come un interferometro per produrre osservazioni ancora più dettagliate. Sempre nel deserto di Atacama si trova ALMA, che è attualmente il più grande progetto di astronomia da terra. Frutto di una collaborazione fra l’ESO ed i partner internazionali, ALMA osserverà la radiazione millimetrica e submillimetrica permettendo agli astronomi di guardare alcuni fra gli oggetti più freddi e distanti dell’Universo con una risoluzione molto maggiore rispetto a quella oggi possibile (Mignone & Pierce-Price, 2010).
ESO è un membro di EIROforumw5, l’editore di Science in School.
Studiare il cosmo in tutto lo spettro EM è uno degli obiettivi scientifici dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA, vedi riquadro)w2, che ha al momento cinque missioni operative dedicate all’astronomia (vedi la Figura 5). In ordine crescente di energia, esse sono Planck (submillimetrico e microonde), Herschel (IR), Hubble Space Telescope (visibile, ma anche alcune lunghezze d’onda IR e UV), XMM-Newton (raggi X) e INTEGRAL (raggi gamma e X)w3.
Per gentile concessione della ESA
Nei prossimi numeri di Science in School, esploreremo lo spettro EM in maggiore dettaglio con l’aiuto dei telescopi presenti e passati di ESA, che hanno contribuito a modificare e migliorare la nostra comprensione dell’Universo.
Per scoprire come i ricercatori dell’Università di Bristol, in Gran Bretagna, studiano il modo in cui gli uccelli riescono a vedere la luce UV, e quali vantaggi ha consentito questa loro evoluzione, leggi: www.bristol.ac.uk/biology/research/behaviour/vision/4d.html
Pickrell J (2003) Urine vision? How rodents communicate with UV light. National Geographic News. See: http://news.nationalgeographic.com or use the direct link: http://tinyurl.com/urinevision
I pipistrelli esaminano la foresta pluviale con occhi UV. Science Daily. Consulta: www.sciencedaily.com/releases/2003/10/031017073642.htm
Come fa un ape a percepire i fiori? Leggi: www.naturfotograf.com/UV_flowers_list.html
Per saperne di più sulle attività della Sezione ESA di Scienza ed Esplorazione Robotica, vai su: www.esa.int/esaSC
Harrison T, Shallcross D (2010) A hole in the sky. Science in School 17: 46-53. www.scienceinschool.org/2010/issue17/ozone